Attese: 2022, Site-specific, felting, scarti tessili serici, lana cardata, resina naturale.

Il momento dell’attesa è quell’attimo di sospensione in cui ci si ferma a metà, tra un lato e l’altro della strada. È il vuoto carico di tensione prima di un evento, il momento nodale che lega il passato, carico di impegno e preparazione, al futuro, l’obiettivo a cui volgiamo lo sguardo. Dal punto in cui ci troviamo, in attesa, si può guardare verso il punto di arrivo, in prospettiva. È l’attimo teso tra l’incertezza dell’avvenire e la speranza della realizzazione, quell’istante, in equilibrio perfetto, cristallizzato nella storia dell’arte nel momento precedente al lancio del disco.
Nell’installazione site-specific “Attese”di Monica Paulon le sfere, già parti del progetto “Sfere silenti”, sono sospese in un viaggio che le conduce dal cielo alla terra, in una prospettiva che si allinea al punto di fuga della navata centrale della Chiesa di San Martino a Tavernerio. Il progressivo abbassamento delle sfere disegna nella volta della chiesa un percorso che va dalla balconata, che ospita l’ organo, fino all’ altare, centro focale dell’ installazione, delineando simbolicamente la discesa del divino sulla terra e la sua incarnazione. Lo sguardo dello spettatore è guidato, in questo percorso, dalle linee nere del pavimento che lo conducono, come nel letto di un fiume, verso l’abside.
Nel lavoro di Monica Paulon trovano dimora elementi religiosi e filosofici insieme, in un complesso di segni armonico e universalmente condivisibile. Attraverso la luce che filtra dalle vetrate della chiesa, che rimanda a quel segno specifico con cui si esprime il divino, le sfere dorate di Monica Paulon prendono volume emergendo dal buio della navata, lasciandosi a loro volta attraversare dalla luce tra le fibre, in un gioco di trasparenze e opacità che dona alle sfere l’aspetto organico di un tessuto ricco di venature. I materiali usati dalla Paulon – lana chiara intrecciata di fili di seta dorati – sono naturali e biodegradabili, il frutto di scarti tessili di lavorazione recuperati per dar loro nuova vita, nel doppio significato che racchiude in sé la parola “avanzo”, ossia rifiuto e allo stesso tempo progresso, balzo in “avanti”.
Le sfere tessili che compongono l’installazione sono realizzate a mano senza l’ausilio di utensili, per tornare, in simbiosi con i materiali naturali, a una lavorazione primigenia fatta dalla sola azione della natura, con acqua e fuoco, due degli elementi primari individuati nell’antica Grecia come archè, i principi primi all’origine del mondo. Applicando la tecnica del felting, la Paulon apre e separa le fibre con il calore generato dal movimento delle mani, unito all’acqua in cui si immerge il tessuto, per ricongiungerle e intrecciarle in una nuova forma. Da questa carezza che dà forma all’informe nasce la struttura perfetta per eccellenza, la sfera, unica configurazione in cui, secondo Parmenide, è possibile pensare l’Essere.
Immutabile ed eterno, sempre uguale a sé stesso, l’Essere deve essere al tempo stesso finito e privo di limiti, e il continuum della superficie circolare della sfera va a concretizzare il luogo di una perfezione ultraterrena, in cui tutti i punti della superficie giacciono sulla stessa distanza dal centro. Ed è questa equidistanza l’equilibrio sottile che ricerca Monica Paulon: la giusta distanza dalle persone e dalle cose, il giusto bilanciamento degli avvenimenti, e dei sentimenti, dopo un tempo eccezionale come quello pandemico in cui a una scienza tanto sociale quale quella prossemica è stata data scientificità nell’attribuzione, per decreto legge, delle distanze da adottare nei rapporti interpersonali. A distanza di due anni da questi primi avvenimenti, l’artista sente questo come il tempo del ritorno all’umano, della vicinanza “perfetta” scandita da ognuno secondo necessità, dell’avvicinamento e allontanamento nel gioco prospettico della visione. Per arrivare, dalla giusta distanza, a godere del prossimo e di se stessi.
                                                                                                                                                    Erika Lacava

Attese: 2022, Site-specific, felting, waste silk fibers, carded wool, natural resin

The moment of waiting is that suspended instant when one stops halfway, between one side and the other of the road. It is the void filled with tension before an event, the nodal moment that connects the past, laden with effort and preparation, to the future, the goal to which we turn our gaze. From the point where we stand, in anticipation, we can look towards the destination, in perspective. It is the tense moment between the uncertainty of the future and the hope of realization, that instant, in perfect balance, crystallized in the history of art in the moment just before the discus throw.
In Monica Paulon's site-specific installation "Attese," the spheres, already part of the "Sfere silenti" project, are suspended in a journey that takes them from the sky to the earth, aligning with the vanishing point of the central nave of the Church of San Martino in Tavernerio. The gradual descent of the spheres draws a path in the church's vault from the balcony, which houses the organ, to the altar, the focal center of the installation, symbolically outlining the descent of the divine onto the earth and its incarnation. The viewer's gaze is guided, in this journey, by the black lines on the floor that lead them, like a riverbed, towards the apse.
In Monica Paulon's work, religious and philosophical elements find a home together in a complex and universally shareable set of harmonious signs. Through the light filtering through the church's stained glass windows, reminiscent of the specific sign with which the divine is expressed, Monica Paulon's golden spheres take shape emerging from the darkness of the nave, allowing themselves to be traversed by light between the fibers, in a play of transparencies and opacities that gives the spheres the organic appearance of a fabric rich in veins. The materials used by Paulon—light wool interwoven with threads of golden silk—are natural and biodegradable, the result of textile waste recovered to give them new life, embodying the double meaning contained in the word "avanzo," meaning both refuse and progress, a leap forward.
The textile spheres that make up the installation are handmade without the use of tools, returning, in symbiosis with natural materials, to a primordial process carried out solely by the action of nature, with water and fire, two of the primary elements identified in ancient Greece as archè, the fundamental principles at the origin of the world. Applying the felting technique, Paulon opens and separates the fibers with the heat generated by the movement of her hands, combined with the water in which the fabric is immersed, to reunite and weave them into a new form. From this caress that gives shape to the formless arises the perfect structure par excellence, the sphere, the only configuration in which, according to Parmenides, it is possible to think of Being.
Immutable and eternal, always identical to itself, Being must be simultaneously finite and limitless, and the continuum of the circular surface of the sphere materializes the place of otherworldly perfection, where all points on the surface lie at the same distance from the center. And this equidistance is the subtle balance that Monica Paulon seeks: the right distance from people and things, the right balance of events and feelings, after an exceptional time like the pandemic, during which a socially oriented science such as proxemics was given scientificity in the decree-law's assignment of distances to be adopted in interpersonal relationships. Two years after these initial events, the artist feels this as the time of return to the human, of "perfect" closeness dictated by each according to necessity, of approach and withdrawal in the perspective play of vision. To arrive, from the right distance, to enjoy the next and oneself.
                                                                                                                                                                                                     Erika Lacava
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